FLY SARONNO 2018
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I Fidanzati Lariani

Foto
dodo valentini
In quel ramo del lago di Como, di acque placide, di un bel verde che ispira tranquillità e senso di pace; contornato da un rosario di dolci monti, dove la croce è un susseguirsi di punte regolari che rompono la continuità dello sguardo che, spazia fino confondersi, come a sciogliersi verso il piano.
Come in una tranquilla lanca che lambisce il canneto don acque tiepide e brulicanti di vita, vive un branchetto di scardole, placide e abitudinarie che, come un sol corpo, si muovono all’unisono brucando e godendo del sole caldo. In questa comunità ci sono due pesci, un giovane e poderoso maschio ed una vispa e graziosa sgarzolina che da tempo pensano di dar vita ad una numerosa nidiata di vispi avannotti. Ma le regole del branco pretendono la benedizione del vecchio rincitrullito e codardo carpone che, in uno dei suoi abituali giri in cerca delle squisite larve di chironomo di cui fa scorpacciate, tanto da ritrovarsi con un pancia tale da farlo sembrare ad una palla, dietro un ciuffo di alghe si trova davanti due brutti ceffi che gli sbarrano la via. Mascelle prominenti, bocche assassine, sguardo torvo e scatto improvviso: i boccaloni, sgherri del padrone del lago. Un alloctono di origine ispanica, predone con potere di vita e di morte, l’enorme, flessuoso, infido luccio; che saputa l’intenzione delle due povere scardole, forte del suo potere, si oppone, intimidendo per mano dei suoi sgherri l’officiante carpone.
Non potendo ignorare l’ingiusta volontà dell’esocide, disperati, i due dietro consiglio della saggia madre di lei, scampata a mille lusinghe di esche varie, decidono di cambiare aria, o meglio, acqua.
Notte tempo, in tutta sicurezza, prendono la via del fiume per recarsi in un naviglio che scorre verso una grande città, dove li aspettano degli amici, e in particolare un persico reale, magnifico nella sua livrea che gli conferisce un’aura di religiosità. Raggiunta la darsena, si accorgono che molti pesci lì presenti sono morti o gravemente ammalati; da una cavità della sponda usciva un’evidente, provata, ma ancora bella e dignitosa tinca che portava una piccola pesciolina, vittima della saprolegna.
Il padrone del lago, venuto a conoscenza della fuga, su tutte le furie, digrignando tutti i suoi ottanta e più denti, ordina a tutti i suoi sudditi di ricercare ovunque i due poveri fidanzati.
Nell’imbarcadero del monastero vive un gruppo di anguille, capeggiate da una subdola e viscida capessa con trascorsi libertini, nonostante la religiosità del posto; la doppiezza e l’anima nera come la sua livrea, fa sì che accolga la tapina, stremata dal lungo nuotare, per poi denunciarne la presenza a sua maestà il luccio, che ne ordina il rapimento immediato.  Prontamente eseguito dai fidi e malvagi percidi, che la conducono nel regno roccioso di un nobile pigo, di innominato rango sociale, che fa imprigionare la povera in una vecchia nassa abbandonata.
Nel frattempo il suo fidanzato, per una sciagurata serie di eventi, complici tortuose correnti, prede la bussola e si ritrova in Adda che scorre verso il ducato di Bergamo; sperduto decide di lascarsi portare, ricordandosi di avere un parente che, dopo una furiosa piena autunnale, è giunto in quella zona. Dopo non poche peripezie riesce finalmente a trovare rifugio e conforto.
Intanto la poveretta si strugge e piange per la sua ingiusta malasorte e racconta la storia degli eventi al suo carceriere che, da ciprinide quale è, si intenerisce e la libera scortandola nella grande città presso pesci amici.
Il suo amato, saputo per vie traverse che la sua promessa ora risiedeva in quel posto, pinneggiando furiosamente contro corrente va alla sua ricerca; nel frattempo il contagio, che sembra sia stato portato da certi voraci siluridi, si è ormai diffuso dovunque provocando una vera ecatombe. Anche il perfido luccio, che pensava di esserne immune mentre si struggeva nell’attesa di avere il suo ambito premio, colpito da malessere scopre dietro una pinna una grossa piaga ammuffita; a niente valgono gli sforzi di alcuni dotti agoni, notoriamente esperti delle patologie del mondo acqueo.
Vista la situazione lo sgherro, dalla grossa bocca da infido assassino quale è, estromette il suo capo depredandolo di tutti i suoi averi e spedendo anche lui in città, dove il nostro promesso sposo cerca furiosamente e con poche speranze la sua amata. Alcuni vaironi gli dicono di recarsi in uno stagno putrido, solitamente abitato da rane e bisce, dove vengono portati tutti i pesci moribondi;  si imbatte nel persico con aura di santità, lì giunto per dare conforto. La pena e la rabbia del giovane inducono il santo a mostrargli un derelitto padrone, non più onnipotente, che boccheggia con le sue fauci ormai inutili ed il corpo ricoperto da rivoltante mucillaggine, in attesa della morte.
Dopo aver placato l’odio che lo aveva tormentato, riprende le ricerche e viene premiato dalla vista di lei, con le squame un po' opache e la graziosa linea dei fianchi rientrante, ma sempre la più bella ed amabile sgarzolina del lago.
Finalmente si concretizzò un sogno, con la partecipazione di tutti, o quasi, i protagonisti di questa storia, con la benedizione di Fra persico e il benestare di Messer pigo, grande anfitrione.
Ora che questa favola come sempre ha avuto un lieto fine, mi viene da chiedere “ma non sarà per questo che nel ramo di Lecco, dovunque peschi catturi quasi solo bellissime scardole?”.
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